un monologo di Francesco Randazzo

liberamente tratto dal libro IV dell’Eneide di Virgilio e da Heroides di Ovidio

interpretato da Giorgina Cantalini

costume di Dora Argento

musiche a cura e di Calogero Giallanza

movimenti coreografici di Giovanna Summo

direttore di scena Monica Mariotti

ideazione scenica e regia di Francesco Randazzo

produzione Ente Teatro Cronaca

in collaborazione con Ostinati Officina Teatro e International Acting Society

anno di produzione 2008

Il progetto nasce da una ricerca sul personaggio di Didone e da un’elaborazione drammaturgica tratta dal IV canto dell’Eneide di Virgilio e dalla Lettera di Didone delle Heroides di Ovidio, rendendo il testo uno stream del personaggio che ripercorre la sua tragedia come in una reviviscenza che attraversa i detriti della storia per giungere fino a noi con la forza dell’ineluttabilità e la potenza “barbara” del personaggio: la fisicità simbolica e astratta; il flusso gestuale umano e reale, quasi un “reality” tragico che permette di spiare l’evolversi della passione e il disfacimento psicologico che ne consegue; il tentativo di calare la tragicità epica nel tessuto contemporaneo; l’affiorare del latino come elemento primordiale, quasi animalesco, portatore di pura emozione e grido del mito. Ma su tutto il punto di forza dell’operazione sta nella capacità di coinvolgere il pubblico e tenerlo ‘con il fiato sospeso’, restituendo il complesso tessuto narrativo e poetico, fedele all’originaria strutturazione virgiliana, in maniera viva e comunicativa.
Un teatro colto, ma anche lieve e appassionante.

Una donna in fuga, una donna che trasforma la propria sfortuna in avventura e riesce grazie alla propria intelligenza a rifondare la propria vita, a creare una città. Una donna volitiva che nonostante gli ostacoli riesce ad ottenere stima e rispetto, e diviene modello di forza e determinazione. Questa è Didone, regina di Tiro, cacciata dal fratello che le uccide il marito, approdata sulle coste africane, dove riesce a fondare una città che diverrà la grande Cartagine: Didone la volitiva, la donna di potere, corteggiata dai potenti, dei quali tutti lei rifiuta le proposte di matrimonio, in nome della promessa di fedeltà data anche oltre la morte al suo defunto sposo. Eppure questa donna ha nascosto nel cuore il calore, l’enorme potenza del sentimento, represso e piegato all’onore, alla dignità della promessa. Ma resiste. Finché a Cartagine non approda Enea, anche lui fuggitivo. Forse è proprio questa somiglianza, questa comune storia di perdita e fuga, questo implulso al viaggio e alla fondazione, che colpisce Didone. Per sua stessa ammissione, subito dopo averlo incontrato, confessa che “Se non avessi dato sacro giuramento irrevocabile,/mai più, mai più io sposa, dopo la morte di Sicheo/mio primo amore, morte crudele e odiosa, io solo/a lui avrei voluto cedere…” Ma la forza del suo giuramento di fedeltà ha la meglio. Didone ha però, da questo momento in poi in sé il germe destabilizzante del sentimento, represso, sopito, pronto a riesplodere (“riconosco i detriti dell’antica fiamma!”). Ciononostante, probabilmente, sarebbe riuscita a resistere, il suo carattere, fino a quel momento saldo come una roccia, porta a pensarlo. Ma a questo punto entrano in campo, oltre alla sorella di lei, che incarna la voce sopita all’interno del cuore di Didone, le divinità che plasmeranno gli eventi, fabbricando una serie di circostanze che in un crescendo d’ineluttabilità condurranno Didone all’abbandono del sentimento, alla totale annichilazione nell’amore. Enea è suo, s’illude. Ma Enea l’abbandona, va verso il suo destino, verso altre coste, a fondare la sua città. Il sogno di Didone s’infrange. Il dolore e la rabbia, la vergogna per la sua mancata promessa, il senso di perdita sono assoluti in lei. Si ucciderà con la spada che Enea le ha donato, accanto a un rogo: l’immagine è potente e simbolica, il suo impatto arriva fino a noi. Di lei Virgilio ci consegna nell’Eneide la storia, il libro IV del poema epico è in realtà la tragedia di Didone, un altissimo ritratto eroico; Ovidio invece nella sua Lettera di Didone, nelle “Heroides”, ci mostra la donna nel suo estremo atto di asservimento all’amore, la sua umanità straziata, il suo dolore e la sua rabbia.
Da questi precendenti di straordinaria impressività e carichi di motivi tematici irradianti, nasce l’idea di un testo e di uno spettacolo su questa figura di donna, un personaggio che attraversa la Storia e il Mito, giungendo fino a noi, in una reviviscenza che trasfonde la sua esperienza dal territorio dellla classicità a quello contemporaneo, rinsanguando e riportando a noi come vive e presenti le vicende, l’anima e il corpo di un personaggio che ancor oggi può essere di straordinario impatto visivo ed emotivo, nel nostro tempo, per la nostra umanità, per rendere al nostro presente la forza e la vitalità del mito, del linguaggio e di tematiche universali, fervide e fertili. Didone ritorna fra noi. La sua voce e la sua presenza ci rendono l’accadere infinito di questa donna, in fuga da millenni, la sua lotta contro il destino, l’appassionante catarsi della sua scelta finale, estremo atto di liberazione.

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