IL DRAGO

di Evgenij Schwarz

libero adattamento di Roberto De Simone

con Marcello Bartoli, Virgilio Villani, Enzo Pierro, Giuseppe De Vittorio, Luca Biagini, Walter Corda, Antonella Morea, Gianni Lamagna, Maria Laura Rondanini, Mariella Mazza, Antonio Scibelli, Cesare Belsito, Cinzia Sartorello, Enzo Barone

CANTATA IN MORTE DI UN AMMAZZADRAGHI

testi di Abu Salma, Salma al-Khadra al-Jayyusi, Giabre Ibrahim Giabra, Bertold Brecht, Tulio Galeas

musica di Roberto De Simone

soprano Mariella Mazza
contralto Antonella Morea
tenore Giuseppe De Vittorio
tenora Gianni Lamagna
baritono Walter Corda
baritono Virgilio Villani
basso Antonio Scibelli

scene Nicola Rubertelli

costumi Zaira De Vincentiis

direttore d’orchestra Renato Piemontese

regia Roberto De Simone

anno di produzione 1991

I molteplici contenuti del teatro di Schwarz emergono da una rielazorazione di temi favolistivi, che carica di nuova sostanza storica le loro categorie morali. Del resto, specialmente nel testo più famoso del Nostro, ossia nel Drago, i riferimenti con la realtà storica sono più che mai evidenti (la scrittura del testo fu terminata nel 1943, nel pieno di ben noti fermenti storico-politici). Ma sbaglierebbe chi volesse considerare la favole teatrali di Schwarz delle semplici allegorie, perché ne limiterebbe il senso profondo ed ideale che esse esprimono.

Lo stesso Schwarz avvertiva che nelle favole il mondo irreale si connette sempre con la realtà, ed è possibile leggere una favola nei suoi contenuti totali, a patto di leggerla come sintesi e come favola in quanto tale, perché in una favola non si vuole nascondere nulla, bensì rivelare, gridare a piena voce quello che si pensa.

Orbene, alla luce di recenti avvenimenti (la guerra nel Golfo, la crisi politica internazionale, il crollo di sistemi politi e di ideologie), il testo del Drago si rivela di pregnante attualità.

Superandone l’interpretazione storica legata al suo tempo, e accantonando gli interrogativi che l’opera pone (se essa sia da considerarsi una pièce antinazista o antistalinista), il nucleo ideale dell’opera rimane al di sopra del suo tempo, e si colloca in ambito poetico ed universale come opera d’arte.

È chiara la metafore del Drago come personificazione di un Potere dittatoriale, tradizionalente intollerante, paternalistico e dispotico; come altrettanto chiara risulta la figura dell’eroe Lancilotto, liberatore messianico, atteso dal popolo, dagli emarginati, ma inviso alla stessa borghesia, vittima del Drago. E se tale personaggio, come puro modello poetico e mitico, si porta addosso quel certo pizzico di donchisciottismo, tale aspetto lo collca in quel clima favolistico ed ingenuo, che è nei dichiarati intenti dell’Autore.

Figura ambigua ed inquietante è il Borgomastro, che , alla pura follia di Lancillotto, oppone una schizofrenia delirante, derivata da una perversa ed egoistica razionalità. Il Borgomastro è simbolo della borghesia ricca, la quale, in un primo momento, si dichiara vittima del Drago, ma poi finisce per sostituire il Drago stesso.

Insomma, in un momento come quello attuale, in cui assistiamo al crollo delle ideologie, di sistemi, di illusioni, risulta quanto mai profetica la figura del Borgomastro, personificazione di ipocrita democrazia, di sofisticati sistemi di Potere occulto ed egoistico, tali da trasformare la società stessa in una mostruosa e massificata personificazione del Drago. A ciò, difatti, si riferisce Schwarz, quando, nella scena della morte di Lancillotto, fa dire all’eroe stesso: In ciascuno di loro bisognerà uccidere il Drago.

Il personaggio di Elsa rappresenta, come metafora del femminile, il momento delicato dell’adolescenza, violentata da una perversa educazione basata sulla cieca obbedienza alle Istituzioni e al Potere. In tal senso Elsa, nel suo incontro con Lancillotto, scopre la possibilità della trasgressione, della fiducia negli altri, ed intravede il fascino della libertà, la possibilità di rapporti umanamente sinceri, al di fuori dell’ipocrita convenzionalità delle buone maniere, e della morale in cui è nata. A tale proposito lìAutore le mette in bocca la significante espressione: Io sono nata soto il segno del Drago.

All’opposto di Elsa, il personaggio di Enrico, suo fidanzato, è metafora del giovane soggiogato dal mostruoso potere del Drago. Enrico, difatti, subisce tutto il fascino perverso del Potere, alimentando, per imitazione del modello che segue, una lucida disposizione alle cinismo ed alla violenza, giustificata peraltro dall’ideologia stessa della dittatura.

Orbene, alla luce di diverse considerazioni, ho pensato di ridurre in due soli atti i tre originali del Drago. Innanzitutto il testo, qua e là, risente oggi di alcuni riferimenti troppo connessi alla situazione politica degli anni Quaranta. Talvolta, poi, la metafora politica prevarica il poeta e la didascalia gita di alcune battute non giova alla spensieratezza dell’azione, né aggiungere alcunché ai contenuti, già di per sé chiari ed evidenti.

Inoltre, proprio in riferimento alla validità poetica e contenutistica delle testo, ho preferito concludere l’opera con la poetica morte di Lancillotto, anziché procedere con il terzo atto francamente il più didascalico ed il meno ricco di teatralità.

Ho sostituito, quindi, il terzo atto con la Cantata in morte di un Ammazzadraghi,  mia composizione musicale su testi di poeti rivoluzionari palestinesi, dell’America centrale e su un componimento poetico di Brecht sulla condizione dell’emigrante.

Tale Cantata credo che esprima al meglio, ed in linea col clima favolistico, la conclusione metaforica della favola di Schwarz e, in riferimento a tragedie storiche dei nostri giorni, si presta a svelare il tema primario della rappresentazione totale, di cui il Drago può essere considerato il prologo.

Roberto De Simone

Video

Cantata in morte di un ammazzadraghi – prima parte

Cantata in morte di un ammazzadraghi – seconda parte

 Alcune poesie che compongono la Cantata in morte di un ammazzadraghi

«A Jean Paul Sartre» di Giabra Ibraihm Giabra

Se viene trucidato un bimbo
e i suoi carnefici gettano
il suo cadavere nel fango
tu forse non ti indigni
che cosa dici?

Io in quanto palestinese
vengo trucidato ogni anno
ogni giorno ogni oraVieni
Osserva pure la barbarie
in ogni suo particolare
ce n’è di spettacoli
e certo il minore
non è che il mio sangue
che continua a colare…

Parla
come mai sei diventato insensibile
non hai dunque proprio niente da dire?

«Sulla denominazione emigrante» di Bertold Brechtil-drago-brecht

 

Trovai sempre falso quel nome assegnatoci:
emigrante.

Significa esule, si sa. Ma noi
esuli non siamo per libera scelta,
scegliendo altro paese. E non andiamo
in altra terra per restarvi per sempre.

Noi fuggiamo scacciati, esilio è la terra
che ci accoglie.

Sostiamo inquieti, possibilmente presso il confine
qui, in attesa del giorno del rientro.

Ahi la quiete dell’ora non ci illude! Sentiamo
sulla pelle la polizia che ci segue dovunque.

Noi stessi, sempre di un crimine sospetti,
noi che passamo le frontiere. E ognuno
di noi, che tra la folla va con le scarpe sdrucite,
attesta il disonore che la nostra terra macchia.

No, nessuno di noi vuol restare.

Non è detta l’ultima parola.

E sostiamo nel ricordo del nostro Meridione, o
d’un simile luogo dell’Africa, dell’Albania,
o della Palestina.

Ma non è detto. Non è detto

(traduzione ed elaborazione di Roberto De Simone)