travestimento mozartiano in due tempidi Roberto De Simone

testi da Aleksandr S. Puskin, Molière, Lorenzo Da Ponte e Edmond Rostand

musiche da Wolfgang Amadeus Mozart

Attori
Antonio Salieri | Franco Javarone
Amadeus Mozart | Biagio Abenante
Un violinista cieco | Paolo Romano
Donna Elvira | Renata Fusco
Leporello | Giuseppe Ranoia

Cantanti
Soprano | Paola Quagliata
Mezzosoprano | Francesca Russo Ermolli
Tenore | Francesco Marsiglia
Contraltista | Enrico Vicinanza

Burattinai
Angelo Aiello
Flavia D’Aiello

Direttore Renato Piemontese

Regia Roberto De Simone

Regista collaboratore Mariano Bauduin

Scene Nicola Rubertelli
Costumi Odette Nicoletti
Disegno luci Luigi Ascione

Complesso strumentale
Mimmo Napolitano: tastiera elettrica, Leonardo Massa: basso elettrico/violoncello, Filippo D’Allio: chitarra elettrica, Raffaele di Fenza: marimba e percussioni, Antonio Mambelli: vibrafono e percussioni, Marilù Grieco: flauto, Luca Martingano: corno, Ciro Principe: trombone, Pasquale Di Nunzio: sax tenore, Francesco Armocida: sax contralto, Francesco Amoroso: tromba

produzione Ente Teatro Cronaca

anno di produzione 2007

La rappresentazione parte dall’irrapresentabilità del catalogo mentale di Mozart se non attraverso un travestimento che contenga l’enumerazione infinita di virtualità mascherate, atte a individuare l’ineffabile scandalo d’un fanciullo divino che gioca con Dio e con il Diavolo che gli sorridono anche nella morte.
Così, secondo Puskin, Antonio Salieri individuò genialmente la natura mozartiana, affascinato, sedotto e angosciato da un’essenza geniale che riconosceva di non possedere, terrorizzato da ciò che non si comprende fino al punto da tentarne, in un improbabile sogno, la soppressione.
Ma si può uccidere un’anima? Proviamo allora a travestirne la musica, a cambiarne i connotati, a travisarne i colori, a schematizzare una partitura, a invertirne i ruoli vocali, a farne una fotocopia ricalcando i partimenti con un pennarello timbrico – come accadeva di fare a Andy Warlow. Qual è il risultato? Nulla: Mozart vi ritorna a tavola come un convitato di pietra che esige il saldo del conto, sorridendo e porgendovi la mano. E l’altro, il Salieri di turno – l’Andy Warlo – io stesso – viene spedito all’inferno con la esaltante soddisfazione di avere sperimentato il tocco di un mano ardente.
Partendo da tale presupposto, la rappresentazione – ho l’irrapresentazione – attraverso i versi di Puskin, i versi di Da Ponte, la Commedia dell’Arte, la vocalità asessuata dei castrati, la sensualità del  femminile, i formulari burattineschi d’un eros sublimato in ritmi minimali, elenca la ripetizione irripetibile del vivere o del morire, del cantare o del tacere, l’essere o non essere, del Don Giovanni e del Commendatore, del mangiare o dell’essere mangiati, dell’amare l’eterno ciclo senza riserve, annullandosi nell’incenerimento, fino a dispiegare il travestimento del più gioioso, irridente, ambiguo e burlesco contenuto moralistico:
Questi è il fin di chi fa mal.
Roberto De Simone

Fotografie